"È stata formativa l'esperienza a Bruxelles alla Scuola Direzione Europa, che mi ha dato l'opportunità di conoscere e toccare con mano la dimensione europea. Abbiamo affrontato vari temi: dalla funzione che l'Europa oggi può giocare di fronte ad un contesto transnazionale, ai temi caldi dell'immigrazione e della Brexit, dell'Europa sociale e la ristrutturazione del Fiscal compact. Che è stata la corda che ha strozzato lo Stato sociale come lo abbiamo conosciuto negli anni scorsi: una tagliola nei confronti degli Stati, ai quali non è stato permesso - Italia in primis - di pianificare investimenti pubblici per la creazione di nuovi posti di lavoro e di dare ossigeno al Welfare State. Si è liquefatta quella protezione che consentiva all'individuo di poter avere pari opportunità e di sviluppare la persona umana. Il punto è tutto qui: in Italia questo non è più possibile da molto tempo. Durante il soggiorno a Bruxelles, ho incontrato la comunità italiana che vive e lavora lì da tanti anni per capire com'è vista l'Italia da fuori, così da intercettarne i sentimenti. Da parte degli italiani che sono partiti c'è rabbia, mista alla voglia di voler spronare il proprio Paese a fare meglio. Ci si chiede il motivo per cui la politica non abbia visioni e non guidi i cittadini verso un disegno. Mentre questi si abbandonano alla rassegnazione e si accontentano di chinare il capo di fronte ad uno stato di cose che sta massacrando il tessuto sociale, sé stessi, la propria identità, il made in Italy. La percezione che si ha è come se noi fossimo una grande squadra, che ha le proprie punte pronte per segnare l'avversario e il resto di questa è in panchina. Stanco, rassegnato, rancoroso. Ma quegli italiani che hanno lasciato tutto e sono partiti, appena arrivati non avevano nulla. E per costruire tanti piccoli pezzi di Italia in Europa, fatti di nostri prodotti lingua cultura gentilezza, hanno avuto la forza del lavoratore e la visione di un progetto. Che dovrebbe invece essere proprio della politica, ovvero guidare i processi e rendere le opportunità accessibili a chiunque. Per un giovane, che della politica fa la propria passione, è un fallimento constatare quanto siamo scivolati in basso e quanta strada dovremmo fare per rendere la nostra squadra, quella del made in Italy, omogenea. Tocca alla politica sanare le divisioni tra chi è partito e chi è restato, importando sui territori le strategie vincenti e creando piattaforme tra imprese e lavoratori in Italia e all'estero. Immaginiamo un' Italia che non sia chiusa nei propri confini fisici, ma che si estenda attraverso la propria originalità. Per farlo, è necessario comprendere che sui territori c'è bisogno di fare quello che i nostri connazionali hanno fatto all'estero: essere orgogliosi di sé stessi, ma soprattutto entrare nella mentalità che siamo una grande squadra. E che ogni punto segnato è un punto per tutti: ecco la dimensione collettiva e valoriale. Alla politica l'onore di dire che non tutti gli italiani all'estero sono dei vigliacchi che hanno lasciato il proprio Paese, ma degli ambasciatori da seguire e riportare in Italia. Il cambio è tutto lì: non lasciare andare il singolo alla sua disperazione, ma spronarlo a partire e poi farlo ritornare. Perché c'è bisogno della sua storia per vincere il rancore. Immaginiamo che la politica, con la sua dimensione collettiva, sia collante tra il territorio delle origini e il mondo lì fuori che ha bisogno di Italia". Nicholas Ferrante, Cconvenzione nazionale PD - generazione futura.

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