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ENTI  -  REGIONE CAMPANIA
Regione; Squilibrio di genere nelle aziende medio-grandi della Campania; Lomazzo
12 GENNAIO 2018 - Ore 00:08

Napoli. Il Report, di cui all’art. 46 del D. Lgs 198/06, redatto dall’Ufficio della Consigliera di Parità della regione Campania guidato di Domenica Marianna Lomazzo e grazie alla fattiva collaborazione di Luisa Festa, Consigliera di Parità supplente della Regione Campania, risente dell’esiguità del numero delle aziende (131) che hanno ottemperato all’obbligo di Legge, dato quest’ultimo dovuto sicuramente alla lunga pluriennale inattività dell’Ufficio della Consigliera di Parità regionale, Ufficio ripristinato in Regione Campania solamente nel luglio del 2016. Nel Report vengono esaminati i dati relativi ai rapporti aziendali pervenuti entro il 30 aprile 2016 e riguardano il biennio 2014-2105. Pertanto, secondo l’analisi di genere da essi emergente, l’occupazione femminile nella Regione Campania si attesta al 28,90% e quella maschile al 71,10% quasi in linea con quanto riportato relativamente al tasso di occupazione femminile dai dati Istat- Svimez (intorno al 28%) nello stesso periodo. La percentuale di femminilizzazione, ovvero il rapporto fra le addette ed il totale degli addetti per Provincia, appare più significativa nella provincia di Napoli (31,85%) ,a seguire Salerno (24,12 %), Benevento ( 22,78% ), Caserta (22,37%), Avellino (15,88%). Questo dato deve essere letto alla luce dell’ estensione territoriale delle province, della tipologia delle imprese attive e dei diversificati settori di attività preminenti in ciascuna provincia. E’ noto che il tessuto economico della Regione Campania registra una decisa, estesa e vivace presenza di piccolissime attività produttive dove significativa è la presenza del lavoro femminile ( ma che non sono oggetto della presente analisi )e ,soprattutto, tutto ciò deve essere contestualizzato anche nella situazione di particolare gravità che, da sempre, caratterizza il mercato del lavoro al Sud , resa ancora più drammatica dai contraccolpi della crisi e , dove la componente femminile del “non lavoro” appare la più colpita. L’analisi settoriale del campione regionale, in nostro possesso, mostra una concentrazione delle aziende nel settore dell’ industria (60 unità), a seguire il commercio (13),i trasporti (12), il terziario, le imprese della sanità (11) , i servizi (10), ed infine le telecomunicazioni ( 7) e il credito(6) . Dalla distribuzione per provincia delle aziende e per settore merceologico emerge che la maggiore concentrazione di esse ha sede nella città metropolitana di Napoli ( 65 aziende distribuite nei settori : industria , sanità e servizi, telecomunicazioni, trasporti, commercio e credito) seguita da Caserta( 24 distribuite nei settori: industria, commercio e trasporti), Salerno (19 distribuite nei settori: Industria, Commercio e Gestione Rifiuti), Avellino (16 distribuite nei settori : Industria, Trasporti), infine Benevento (6 distribuite nei settori: Gestione Rifiuti, Industria, P.A., Servizi). Nella ripartizione delle lavoratrici per macrosettori di riferimento esclusa l’agricoltura, settore non rappresentato da alcuna impresa del campione (dove è significativa la presenza della componente del lavoro femminile), prevale in modo netto il terziario (sanità, telecomunicazioni, credito, commercio, terziario alberghi, servizi, informatica,) industria (energia, industria, gestioni rifiuti), trasporti- Nei settori che da soli rappresentano oltre l’80% dell’intero campione, 106 schede su 131, è possibile notare come la maggiore presenza femminile si concentri nel Commercio (41% del tot.), nella Sanità (59% del tot.) e nei Servizi (40% del tot.). Industria e Trasporti sono invece i settori in cui il divario tra occupazione femminile ed occupazione totale è più marcato, a conferma che nel mercato del lavoro in Campania esiste una forte segregazione di genere per settore merceologico e ciò emerge in maniera chiara anche dall’esame del fenomeno della segregazione sia professionale che verticale dove si riscontra che la maggior parte delle donne riveste la funzione di impiegate (42%) mentre è esigua la loro presenza nei quadri ( 25%), nella manodopera operaia( 16%) e nella dirigenza solamente il 10%. Proprio in ragione della contemporanea bassa incidenza del lavoro femminile tra gli operai ed i dirigenti, non si esclude la possibilità che la collocazione delle occupate, soprattutto nei ruoli di concetto (impiegate) possa rispondere non solo a ragioni imposte dal mercato, ma anche da una scelta delle lavoratrici connessa alle esigenze di conciliazione dei tempi di vita familiare/cura e lavoro. Dai rapporti biennali delle aziende della Campania 2014-2015, emerge un buon livello di nuove entrate e sempre con un saldo attivo rispetto alle uscite. Una ripresa occupazionale, quindi, decisamente più marcata rispetto a quella registrata sul resto del territorio nazionale anche se ancora lontana dai livelli occupazionali pre crisi del 2007. Buono appare l’incremento della forza lavoro femminile nei settori del Terziario- alberghi , nella Sanità, nel Commercio. E’ notevole ancora la differenza di genere tra uomini e donne nelle entrate (nuovi rapporti di lavoro) e, quindi, nell’occupazione soprattutto nei settori dei Trasporti, dell’ Industria, nei settori dell’Energia e Rifiuti e nell’Informatica. In tutti gli altri settori abbiamo un differenziale tra i generi dal 30% al 40 %. Abbastanza significativo è il dato relativo ai quadri con nuove entrate di genere femminile, mentre deludente resta il dato d’ingresso nel mercato del lavoro di donne operaie e dirigenti. Si conferma, dunque, nell’analisi del dato della Campania, anche se sulla scorta di un limitato campione di aziende, la scarsa partecipazione delle donne nei processi decisionali e nella dirigenza delle aziende. Da mettere in evidenza la dinamica del“fine rapporto di lavoro” per causa, sesso e qualifica. Nel 2015 la maggior parte delle uscite sono riconducibili a licenziamenti collettivi (86%), seguiti dalle dimissioni volontarie ( 77%) e dai licenziamenti individuali (69%). Anche se la percentuale più alta dei licenziamenti collettivi, individuali e di dimissioni volontarie è relativa ai lavoratori maschi, la percentuale delle donne in uscita è riconducibile a settori merceologici dove è già esigua la presenza femminile. Comunque, per quanto riguarda le dimissioni volontarie relative alle donne, il valore del 23% è alto in relazione al marcato disequilibrio occupazionale di genere emergente dall’analisi delle 131 aziende del campione. Nel 2015 il bilancio dei flussi in entrata ed in uscita indica che le entrate: 6211 (4473 m e 1738 f), superano le uscite: 3980 (3195 m 785 f). Inoltre, in termini percentuali, gli stessi flussi indicano che la componente femminile raggiunge il 28% in entrata e il 24% nelle uscite, facendo, quindi, registrare un saldo positivo per la Campania. La Campania, come viene ben riportato nei Rapporti Svimez, difatti, è la Regione italiana che ha registrato nel corso degli anni che vanno dal 2014 /2015 ed a seguire, un crescendo e significativo indice di sviluppo in termini occupazionali. Ruolo trainante sicuramente è stato svolto dall’Industria, grazie anche alla diffusione di Contratti di Sviluppo, ma anche dal rafforzamento del terziario, frutto prevalentemente del positivo andamento del turismo. La ripresa occupazionale della Regione Campania sicuramente è dovuta anche al dispiegarsi degli effetti delle misure di decontribuzione per le assunzioni a “tutele crescenti”, introdotte dal Jobs Act. Al saldo positivo di + 2.231 unità dà un contributo sostanziale anche la componente femminile (con il 43% del tot.). L’andamento delle entrate per livello di inquadramento conferma, altresì, la segregazione verticale e professionale che vede scarse entrate femminili nei livelli: operai, quadri e dirigenti, per concentrarsi, invece, nel livello impiegatizio (42% sul totale delle nuove entrate). Interessante sarà analizzare, nei prossimi report, il rapporto in percentuale tra le donne occupate anziane e quelle giovani. Un altro dato significativo è rappresentato dal dato relativo alla trasformazione della tipologia contrattuale di lavoro, dal quale si evince il persistere della maggiore precarietà del lavoro femminile con l’87% delle trasformazioni del contratto di lavoro da Full time a Part time da parte delle lavoratrici. Senza alcun dubbio questo dato, confrontato con quello relativo agli uomini (13% di conversioni di contratti full time in part time), deve essere messo in relazione con la necessità delle lavoratrici di conciliare il lavoro con i carichi di cura familiare ma, anche, come indagato nei Rapporti SVIMEZ, ascrivibile al part- time involontario, cioè all’accettazione di contratti a tempo parziale in carenza di posti di lavoro a tempo pieno, consentendo ad una quota sempre maggiore di donne di mantenere nella crisi e/o di trovare nella ripresa economica un’occupazione. Tutto ciò, ovviamente, va a riflettersi sui redditi complessivi delle donne incidendo in maniera significativa sul persistere del differenziale contributivo e retributivo tra occupate ed occupati. In conclusione, le problematiche dell’occupazione femminile nel nostro Paese sono, per lo più, largamente imputabili ai persistenti differenziali tra Nord e Sud rispetto alla domanda di lavoro ed alle reali opportunità occupazionali offerte dall’economie locali. Le donne continuano ad essere impiegate soprattutto in mercati del lavoro deboli come quello del Mezzogiorno e della Campania, con tipologie contrattuali precarie e con mansioni non corrispondenti alla loro professionalità e competenze; inoltre restano loro preclusi alcuni settori nevralgici come il settore dell’Industria. La quasi totale carenza nelle aziende di strutture e di strumenti a sostegno della genitorialità, ma anche la carenza nel territorio di asili, micro nidi e nidi (In Italia per copertura di asili nido siamo al di sotto del 33% di posti su 100 bambini, percentuale indicata come obiettivo strategico dall’Unione Europea) rendono difficile la conciliazione dell’impegno lavorativo con la genitorialità, tanto che è in crescita su tutto il territorio nazionale il fenomeno dell’abbandono del lavoro da parte delle donne per motivi legati alla conciliazione ( 37.738 di cui 7.560 uomini sono state le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro ex art. 55 del D. Lgs. 151/01 registrate in Italia nel corso del 2016. In Campania, secondo i dati dell’Ispettorato Territoriale del lavoro, sono state ben 2.087). In questi ultimi anni, stiamo assistendo al preoccupante fenomeno di una bassa natalità sia nella nostra Regione che nell’intero Mezzogiorno. La bassa natalità, accompagnata dal consistente esodo dei/le nostri/e giovani verso zone del Nord ed altri paesi europei rende il Sud non più un’ area giovane e per lo più caratterizzata da un forte deficit di capitale fisso sociale. Il rischio di povertà assoluta è triplo nel Mezzogiorno rispetto al resto del paese. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una da parte del Governo nei confronti delle problematiche delle donne: il D.M. del 15.12.2016, relativamente all’obbligatorietà delle Dimissioni e risoluzione del contratto di lavoro da dare esclusivamente per via telematiche e su modelli appositamente elaborati dal Ministero del Lavoro, finalizzato a contrastare efficacemente il triste fenomeno delle “Dimissioni in Bianco”, la legge 199/16 di contrasto al fenomeno del caporalato. Fenomeno di cui, ancora una volta tristemente, sono protagoniste le donne anche nella regione Campania, soprattutto nel settore dell’agricoltura. Precedentemente nel 2015 con D. Lgs. 80/2015 in attuazione di quanto contenuto nel Jobs Act si era proceduto a porre in essere significativi provvedimenti a sostegno della genitorialità ed ancora il decreto legislativo 81/17 sul Lavoro Agile, il Decreto Interministeriale del 12 Settembre 2017, che riconosce sgravi contributivi ai datori di lavoro privati che abbiano previsto, nei contratti collettivi aziendali, istituti di conciliazione tra vita professionale e vita privata dei/le lavoratori/ici. In regione Campania, particolare attenzione è stata posta dal Governo regionale sulle problematiche di conciliazione vita professionale- vita di cura e per incentivare la presenza delle donne nel mercato del lavoro tramite l’emanazione di Bandi relativi agli Accordi di Genere di cui al P.O.R. Campania FSE 2014-2020. Bisogna continuare con maggiore incisività e concretezza su questa strada. E’ necessario armonizzare i tempi di lavoro rispondendo alle esigenze delle donne con orari di lavoro flessibili e favorire la crescita di strutture a supporto dei figli e della famiglia in genere. Il nostro Welfare, si è arricchito negli ultimi anni di positivi provvedimenti family friendly, significativi quelli contenuti nell’ultima legge finanziaria , ma abbiamo bisogno di valorizzare e sostenere ancora di più la maternità tenuto conto che l’Italia sta diventando uno dei Paesi più vecchi d’Europa (figli per donna 1,34% nel 2016). Bisogna ,quindi, continuare ad utilizzare, insieme con le Regioni sia nei POR che in ambito nazionale, il Fondo Sociale Europeo per sostenere la conciliazione vita/lavoro con progetti operativi e concreti. Un dato che deve essere messo in evidenza è rappresentato dalla crescita nel territorio campano delle imprese rette da donne. Da un report 2016, reso pubblico da Unioncamere ed Info camere, emerge che nella nostra Regione è significativo il tasso di femminilizzazione delle aziende pari al 23% del totale (la provincia di Napoli da 48.563 imprese del 2015 è passata a 49.453 imprese, in provincia di Salerno sono attive 24 mila imprese, la provincia di Caserta registra un numero di imprese a conduzione femminile pari a 19.354 unità, Avellino 11.944 in crescita e a Benevento sono attive 9.525 imprese in crescita) a fronte del dato nazionale che è del 21,74% (1 milione e 321mila). I settori privilegiati dalle donne sono rappresentati dal: Terziario (65,7%) ma anche dal settore primario con i comparti agricoltura, etc. (16,5). Nel Mezzogiorno i settori preponderanti sono relativi all’artigianato e manifatturiero (delle 97mila aziende registrate ben 57mila sono artigiane). Bisogna favorire ed incrementare, ulteriormente, l’imprenditorialità femminile, anche attraverso una più puntuale programmazione nell’ambito delle risorse europee, ma anche tramite l’utilizzo dei fondi regionali e nazionali, come risulta necessario promuovere il lavoro delle donne nei settori produttivi dove esigua risulta essere la loro presenza. Le donne sono in campo e vogliono esserlo da protagoniste, occorre solamente dare loro le risposte che di diritto chiedono alle istituzioni e ad un paese democratico quale vuole essere il nostro. La questione femminile e giovanile nel Sud può trovare soluzione se il Governo nazionale prosegua con ancora più incisività ad affrontare il “Capitolo Mezzogiorno”, e se le classi dirigenti meridionali sapranno guidare con ancora più determinazione i processi per la rinascita del Sud, con la consapevolezza che senza di esso e senza l’apporto della componente lavorativa femminile e giovanile l’Italia non cresce. e se le classi dirigenti meridionali sapranno guidare con ancora più determinazione i processi per la rinascita del Sud, con la consapevolezza che diversamente e senza l’apporto della componente lavorativa femminile e giovanile l’Italia non cresce.



Comunicato - Napoli - 12 GENNAIO 2018 - Ore 00:08






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