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POLITICA  - 
Conte: Arretratezze economiche e sociali del Sud non sono state tutte eradicate
17 DICEMBRE 2020 - Ore 00:46

Roma. Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è intervenuto in videoconferenza al convegno "Next Generation Italia - Un nuovo Sud a 70 anni dalla Cassa per il Mezzogiorno", organizzato dall’associazione Merita. 

Grazie a voi direttori, D’Errico e direttore Monga,  e ovviamente saluto e ringrazio per l’invito il presidente De Vincenti come anche saluto il commissario Paolo Gentiloni e la commissaria Elisa Ferreira, ho avuto la possibilità di ascoltare tutti e tre, ho ascoltato anche il dottor Gorno Tempini e il dottor Arcuri che hanno preceduto questi interventi.

Cercherò di rispondere a questi quesiti che sono stati posti dai direttori ma chiaramente l’occasione qui è quella dei 70 anni della Cassa per il Mezzogiorno e chiaramente è un’occasione anche per riflettere su quella che un tempo si definiva, e non so se ancora oggi c’è questa abitudine tra gli studiosi, tra gli addetti ai lavori, quella che si definiva la “questione meridionale”.

Purtroppo le arretratezze economiche e sociali del Mezzogiorno non sono ancora state del tutto eradicate a tutt’oggi a distanza di tanto tempo anzi la loro recrudescenza ci obbliga a discutere, ci impone di discutere di affrontare l’esigenza di nuovi e più incisivi interventi risolutivi. 

Quindi, è con questo anche spirito che ho accettato l’invito oltre che la cortesia del prof. De Vincenti, a presenziare a questa ricorrenza, che la vostra associazione Merita ha voluto celebrare e vuole celebrare.

E’ un anniversario importante e peculiare, perché si ricordano appunto i settant’anni dalla fondazione di un ente che, ha avuto alterne vicissitudini poi nell’ 84 ha smesso per un certo verso di esistere, si è trasformato, a cui comunque va riconosciuta un’importanza ancora attuale, rispetto agli irrisolti problemi del Mezzogiorno.

Venne istituita nel 1950 la Cassa del Mezzogiorno, il Paese stava ancora reagendo alle conseguenze economiche di un conflitto mondiale che aveva inferto delle profonde ferite nel tessuto economico-sociale del Paese. Lo stabilimento siderurgico di Bagnoli e il moderno centro aeronautico di Pomigliano d’Arco furono – lo ricordiamo - interamente rasi al suolo. Le principali centrali elettriche vennero distrutte o severamente danneggiate.

Ecco che talaltro la ripartenza del Mezzogiorno era inoltre gravata da preesistenti carenze strutturali, legate alla pervasività di un arretrato settore agricolo che impiegava all’incirca il 59% della forza lavoro dell’intero territorio. 

L’industria del Sud era ancora completamente sottosviluppata, dal punto di vista tecnico, ma anche dimensionale. Solo un quarto degli addetti del settore a livello nazionale era impiegato nelle regioni del Sud, che pur rappresentava il 37% della popolazione italiana.

Ecco in un contesto critico, e vengo già a fornire una prima risposta, iniziò ad operare la Cassa del Mezzogiorno.

Quale fu la visione che ispirò questa istituzione? Innanzitutto c’era un impianto teorico con una forte ispirazione ideale. La Cassa è certamente figlia delle teorie di John Maynard Keynes sul ruolo dello Stato, sull’intervento dello Stato in economia, che peraltro trovarono applicazione nel New Deal di Roosevelt, tra cui, ad esempio, l’istituzione della celebre Tennessee Valley Authority, nel 1933 per risanare e dotare di infrastrutture fisiche ed energetiche una regione relativamente depressa del territorio statunitense. 

E proprio in quell’anno, 1933, venne costituito l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che - poi in collaborazione con la Cassa - realizzò investimenti di carattere straordinario, tanto per rimanere ai nostri giorni l’impianto siderurgico di Taranto e lo stabilimento Alfasud di Pomigliano d’Arco.

Dall’Iri e, poi, dalla Svimez provenivano anche quelle brillanti menti che, nell’immediato dopoguerra, sostennero la necessità di un “keynesismo dell’offerta”, ovvero l’industrializzazione del Mezzogiorno come unica soluzione in grado di assorbire la disoccupazione strutturale del territorio del Sud. 

Le attività legate alle opere pubbliche e i maggiori redditi derivanti dal fiorire dell’industria avrebbero contribuito a rafforzare la domanda, generando un circolo virtuoso di crescita del mercato interno. 

Perché si chiamò Cassa? Perché questa esperienza, questo esperimento venne chiamato e questa istituzione Cassa? Lo ricorda l’indimenticato Governatore della Banca d’Italia Donato Menichella, la denominazione “Cassa per il Mezzogiorno” voleva sottolineare la portata finanziaria dell’intervento, in modo da elevare le aspettative di investimento degli operatori economici, dentro e fuori il territorio del Mezzogiorno. Insomma oggi avremmo detto che c’era anche una strategia comunicativa dietro la scelta del nome.

È una lezione che abbiamo colto recentemente, a livello europeo, proprio con l’adozione del programma Next Generation EU, del quale avete ampiamente parlato prima di me, nel quale è riservata massima centralità al ruolo trainante dell’investimento pubblico nel generare opportunità economiche che mobilitino flussi addizionali di risorse private.

In misura simile, grazie al sostegno finanziario della Banca Mondiale, la Cassa del Mezzogiorno venne istituita con una dotazione iniziale di 1000 miliardi di lire dell’epoca, pari a circa 20 miliardi di euro attuali, una dotazione cospicua, per eseguire un programma decennale di investimenti, inizialmente volto a modernizzare il settore agricolo e a dotare di infrastrutture varie l’area meridionale. 

Furono interventi fondamentali, bonifiche importanti, bonifiche territoriali, costruzioni stradali e l’installazione di acquedotti, di cui i territori del Sud oggi recano, se noi li visitiamo, ancora chiare testimonianze.

Ma l’ampliarsi del divario con un Centro-Nord che cresceva a ritmi impetuosi e l’emorragia poi migratoria di cui soffriva il Sud resero necessario un cambio di paradigma nell’intervento della Cassa.

Questo, è noto, avvenne con la legge n. 634 del 1957, che riconobbe lo sviluppo economico del Sud come non poteva prescindere da una forte spinta verso l’industrializzazione.

E ci fu un grande dibattito anche pubblico tra gli economisti, gli studiosi, penso ad esempio alle posizioni di Pasquale Saraceno, si iniziò a ragionare di “cattedrali nel deserto”. 

Questo periodo, nonostante le polemiche, le controversie, ha rappresentato l’unico momento, in tutta la storia dell’Italia unita, in cui fu possibile invertire il processo di divergenza economica interna al Paese, al punto che, tra il 1957 e il 1971, il reddito pro capite del Sud rispetto al Centro-Nord passò, pensate, crebbe, dal 54% a oltre il 60%.

La Cassa quindi nacque come un ente pubblico esterno all’amministrazione centrale e locale, investito di una propria autonomia gestionale con eccellenti competenze tecniche. Questi sono direi le caratteristiche, i tratti vincenti di questo modello di intervento pubblico nell’economia.

Quindi, oggi, quando noi discutiamo di intervento pubblico dell’economia dobbiamo cogliere questi tratti, tant’è, successivamente, quando la Cassa  iniziò a perdere un poco l’indipendenza della tecnostruttura si iniziarono a smarrire quelle strategie unitarie coordinate degli interventi, iniziarono questi interventi, come dire, a slabbrarsi, ad essere capillari senza un chiaro disegno unitario, ecco allora   che la Cassa iniziò a incamminarsi verso un percorso inerziale quanto non meramente assistenzialista. Perse di efficacia.

Quindi il tema centrale ancora oggi, è qui è una lezione che ci dà il tema della Cassa del Mezzogiorno, è che vedete, non è tanto da discutere sull’intervento, sull’utilità di un intervento pubblico nell’economia ma è da discutere da quale politica, da quale visione strategica questo intervento pubblico nell’economia è sostenuto e sicuramente, quindi, l’intervento pubblico diventa assolutamente essenziale nelle aree più arretrate, ma a patto che ci sia la definizione di chiari obiettivi e il chiaro disegno di valorizzare la qualità degli strumenti adottati.

Ho potuto peraltro apprezzare il Manifesto che è intitolato “Cambia, cresce, merita. Un nuovo Sud, in una nuova Europa”: rispetto ai problemi individuati, condivido la diagnosi e anche il senso delle proposte. 

Peraltro proprio il mese scorso, in occasione della presentazione del Rapporto Svimez, alla quale per il secondo anno ho partecipato anche io, è emerso che il divario economico, sociale e di genere tra Nord e Sud stia assumendo dimensioni sempre più preoccupanti, peraltro dimensioni acuite dagli effetti della pandemia. 

Ecco allora che è veramente importante che il Governo elabori e persegua una visione strategica. 

Io ringrazio anche il Ministro Provenzano perché devo dire che con lui questo Governo si è adoperato nel riproporre la centralità della questione del Mezzogiorno nella sua interezza, all’interno di un quadro politico ed economico nazionale. 

Il Piano Sud 2030 – lo abbiamo presentato un po' di tempo fa a Gioia Tauro - rappresenta un passaggio di svolta per la politica di coesione orientata al Mezzogiorno. 
E recuperando lo spirito originario della Cassa per il Mezzogiorno, al fondo di questo Piano Sud 2030 c’è il riconoscimento della necessità di un intervento unitario, che passi attraverso il rilancio degli investimenti pubblici e privati, la valorizzazione della ricerca, dell’educazione, dell’istruzione e delle competenze dei cittadini del Sud. 

Alcune misure sono già state attuate, come il rafforzamento della clausola del 34% delle spese in conto capitale da destinare al Mezzogiorno. Sono state realizzate con leggi. Io dico sempre: interventi di questo tipo vincolano anche chi verrà dopo di noi; è difficile che ci possa essere un Governo anche diversamente orientato sul piano delle politiche per il Sud che venga a scardinare questa previsione.

Ma vi sono altri interventi in corso di approvazione nella legge di bilancio 2021, fra cui l’estensione dell’agevolazione contributiva per l’occupazione, la proroga del credito d’imposta per le attività di ricerca e di sviluppo e la costituzione di ecosistemi dell'innovazione nel Mezzogiorno per quanto riguarda l’attività di formazione, ricerca multidisciplinare e creazione di imprese. 

Anche le infrastrutture torneranno ad essere un volano di sviluppo, in particolare per il Mezzogiorno.

Quindi verranno rilanciati tutti gli investimenti per quanto riguarda i collegamenti stradali, autostradali e ferroviari, per aumentare anche il grado di connessione e ridurre l’isolamento delle aree interne dai principali centri urbani, e per consentire anche al Sud un più facile sbocco al Nord.

Il Mezzogiorno – è stato ricordato prima di me dal Commissario Ferreira e anche dal Commissario Gentiloni -  rimane uno dei principali destinatari dei fondi europei per la coesione, però dobbiamo anche riconoscere che siamo un Paese che purtroppo dimostra una carenza strutturale nella capacità di spendere questi soldi, che non riesce ad esprimere una capacità amministrativa adeguata.

Noi possiamo senz’altro congratularci per la recente approvazione dei 13,5 miliardi relativi al pacchetto di assistenza React-EU. Dobbiamo congratularci con il Ministro Provenzano e con il lavoro che è stato fatto a livello europeo da Commissari per consentire la riprogrammazione dei fondi. Ma ancora oggi, per esempio, in Cipe abbiamo dovuto deliberare la programmazione di cospicue risorse finanziarie dei Fondi strutturali che sarebbero andate altrimenti perse. Ecco, dobbiamo evidentemente fare uno sforzo di sistema perché dobbiamo finalmente essere in grado di realizzare questi investimenti, queste opere, tutte queste iniziative e di saper spendere questi soldi.

Peraltro nell’ambito dei fondi europei, le regioni del Sud potranno beneficiare anche delle risorse aggiuntive che il Next Generation EU permette di destinare, sia attraverso il programma Just Transition, il cui incremento apporterà all’Italia – ricordo e non sono trascurabili - ulteriori 535 milioni di euro, sia tramite gli investimenti per la coesione previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.  

E vengo anche al Piano Nazionale, al Recovery Plan.

All’interno del Piano ci sono tanti investimenti ovviamente destinati al Mezzogiorno. 

Vogliamo, ad esempio, estendere l’alta velocità lungo le direttrici Napoli-Bari e Salerno-Reggio Calabria, velocizzare anche il collegamento diagonale da Salerno a Taranto e la linea Palermo-Catania-Messina. 

Dovremo investire in progetti per l’agricoltura di precisione, nel potenziamento della rete idrica, che necessita di cospicui investimenti, un complessivo rafforzamento della governance, soprattutto al Sud.
Intendiamo realizzare poli tematici di ricerca – ne cito solo uno, l’Agri-tech che intendiamo insediare a Napoli.

Siamo al lavoro anche per definire -come siamo stati stimolati a riflettere -  la struttura di attuazione e monitoraggio del Piano. Sicuramente sono d’accordo con il Commissario Gentiloni: occorrono delle corsie preferenziali. Dobbiamo semplificare – diciamo – l’ambiente normativo per consentire al nostro sistema Paese di esprimere quella capacità amministrativa di spesa per gli investimenti che sin qui non è storicamente riuscito ad esprimere. Questi fondi appartengono all’intera comunità nazionale. Io lo dico sempre e l’ho detto dall’inizio: abbiamo la responsabilità di spenderli e di spenderli bene. Questo cosa significa? Significa, da un lato, che il Piano dovrà essere affidato a un procedimento che è ancora in corso di espletamento, che ci consentirà di parlamentarizzarlo perché lì siedono i rappresentanti del popolo.

Quindi l’interlocuzione che manteniamo costante con il Parlamento ci consentirà di definire questo Piano e di consentire addirittura, non solo un aggiornamento step by step al Parlamento, ma anche un’approvazione finale. E poi direi anche di più. Questo Piano deve essere fatto proprio, deve essere sentito proprio all’interno della comunità nazionale in tutte le sue costituenti principali.

Quindi, non appena avremo definito un passaggio in Consiglio dei Ministri sul documento di aggiornamento, partirà una interlocuzione con tutte le parti sociali per acquisire tutte le loro valutazioni in vista dell’elaborazione dei progetti finali.

Ma poi c’è un altro aspetto. Questo riguarda l'elaborazione del Piano, la condivisione del fatto che diventi il Piano realmente Nazionale. C'è l'aspetto del monitoraggio, delle garanzie della esecuzione di questo Piano. E qui la questione si fa complicata. Come sapete c'è una discussione in atto su questo, ci sono tante osservazioni annotazioni, anche critiche, che van benissimo. L'importante è che qualunque strada si scelga, sia una strada che offra la garanzia della semplificazione, della velocizzazione, della realizzazione degli investimenti, dell’accurato monitoraggio, in modo da poter intervenire per evitare che, in caso di ritardo e difficoltà di esecuzione delle opere, si possa invece intervenire per garantire l'esecuzione in tempi certi. Sprecare un solo euro sarebbe delittuoso. E quindi il Governo ha la responsabilità - ovviamente agli occhi della comunità nazionale - di poter garantire una struttura di governance efficace, efficiente, nel pieno rispetto del sistema istituzionale. Qui non si tratta di espropriare nessuno. In questi giorni ho sentito dire, anche da commentatori autorevoli, varie imprecisioni: non è pensabile che, ad esempio, in questa struttura di monitoraggio si possano addensare capacità di elaborazione dei progetti che non spettano alla struttura di monitoraggio, oppure, addirittura, l’espropriazione dei poteri dei soggetti attuatori. I soggetti attuatori saranno fuori. I soggetti attuatori sono le Amministrazioni centrali, le Amministrazioni territoriali, locali. Alcuni progetti poi saranno affidati al partenariato pubblico-privato. Sono tutti questi soggetti ordinariamente che avranno la responsabilità di progettare e seguire le opere. Abbiamo bisogno di uno strumento di monitoraggio che ci consenta di poter seguire queste migliaia di cantieri, segnalare eventualmente ritardi e avere contezza, capacità di poter intervenire per evitare la dispersione di risorse pubbliche.

Mi avvio a conclusione. Il Mezzogiorno deve perseguire una strategia per la modernizzazione del tessuto industriale esistente e per lo sviluppo di nuove iniziative nei settori di punta. 

Ancora oggi, come nel 1950, la chiave dello sviluppo materiale e umano del Mezzogiorno risiede nella costituzione – a questo dobbiamo lavorare - di una moderna struttura industriale, che sappia valorizzare i talenti e le competenze del territorio. Anche perché la dispersione dei nostri giovani è la ferita più profonda che possiamo arrecare al Mezzogiorno.

In questo modo si può possibile rilanciare la centralità di quest’area del Paese negli scambi commerciali con il resto del Mediterraneo e rispetto alla realizzazione di strategiche infrastrutture per la trasmissione di energia elettrica, oltre che per il trasporto del gas e, in prospettiva, dell’idrogeno verde.

Ragioniamo di questo anniversario. La lezione della Cassa per il Mezzogiorno rimane quindi fondamentale. Questo settantesimo anniversario ci permette di riflettere sull’obiettivo di ridurre i divari interni al Paese per mezzo di nuovi strumenti, che possano anche passare attraverso un più funzionale coordinamento delle esistenti strutture pubbliche. 

Per ottenere questi risultati, certo molto ambiziosi, occorre uno sforzo collettivo di sistema, uno sforzo collettivo e chiarezza di visione. Francesco Saverio Nitti avrebbe detto “deve mutare lo spirito della politica italiana” nei confronti del Mezzogiorno. E ricordiamo che Francesco Saverio Nitti fu ispiratore di una legislazione speciale di inizio Novecento e delle future strategie meridionaliste che culminarono proprio nella filosofia dell’intervento straordinario, da cui poi nacque anche la Cassa per il Mezzogiorno.

Quindi concludo passando dal 1950 al 2030, l'orizzonte temporale per la realizzazione Piano Sud. Auguro all’intero Paese di poter celebrare, insieme all’ottantesimo anniversario della Cassa, un decennio di ritrovata convergenza economica e sociale tra il Mezzogiorno e il resto dell’Italia. 

 



Comunicato - Roma - 17 DICEMBRE 2020 - Ore 00:46






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